giovedì 3 agosto 2017

Dal Burkini al Bikini. Lotta di genere sulle spiagge algerine

Burkini e bikini, islam, algeria, donne, diritti donne

Sul "burkini" si scherza, quasi quasi lo abbiamo fatto diventare una piacevole moda, un capo d'abbigliamento "etnico", in nome del "rispetto" della diversità. E' questa l'opinione che più in voga fra i relativisti ideologici radical-chic e cattolico-comunisti di casa nostra. I diritti individuali non contano più, o comunque contano meno rispetto ai diritti di gruppo, ai diritti etnici o religiosi. La mia volontà come individuo singolo, dotato di ragione, soggiace alle leggi religiose, alle leggi del gruppo, della tribù.

Ho sempre sostenuto che il problema dell'Islam non è l'Isis: è l'Islam stesso nel suo rapporto con le donne e con le persone omosessuali. Finché la religione islamica, nella sua dimensione contingente, non dividerà l'impero di Dio da quello di Cesare, riconoscendo e garantendo a ciascuno e a ciascuna la facoltà di esercitare pienamente i propri diritti civili individuali, esisterà una questione di compatibilità fra l'Islam e le società europee, laiche e figlie della Rivoluzione Francese.

Il mondo 'femminista' italiano non si è mai davvero interrogato su questa dimensione di sottomissione implicita e quotidiana della donna: In Italia fa molto "etnicamente corretto" vedere in spiaggia bambine coperte dal collo alle caviglie da un burkini color pelle. Nessuna delle nostre "femministe" si chiede se debba prevalere il diritto a scegliere della bambina (o della ragazza o della signora).

Le "femministe" di oggi, quaranta-cinquantenni, sono figlie o nipoti di donne che sono scese in piazza non solo contro il delitto d'onore (piaga ancora profondissima nei paesi dove vige o ci si ispira alla legge islamica, e anche nelle comunità mussulmane di altri paesi, come quella indiana), ma anche per affermare il diritto a indossare la minigonna senza dover subire insulti oppure a recarsi in spiaggia in topless senza dover essere multate per "oltraggio al pudore".
Di queste lotte al femminile -lotte che in realtà hanno liberato l'intera società- cosa rimane in Italia? Nulla o quasi nulla.

Oggi il Corriere della Sera, a pagina 17, pubblica un articolo dal titolo "L'estate del bikini ribelle in Algeria- «Così vogliamo cambiare la mentalità»" in cui la giornalista Elisabetta Rosaspina ci racconta ciò che accade in Algeria.

Ne riporto alcuni brani: ci fanno comprendere quanta regressione sul tema dei diritti ci sia nell'Italia delle radical-chic e quanta voglia di uscire dall'oscurantismo religioso ci sia nell'Algeria delle ragazze.

"...Dall'inizio di luglio alcune decine di donne algerine, presto diventate centinaia, si ritrovano attraverso appuntamenti a sorpresa, via Facebook, in diversi punti della costa per prendere il sole con l'ombelico in libertà, tutte insieme, in nome della regola secondo cui l'unione fa la forza.
Se singolarmente rischiano di essere aggredite, almeno a parole, o infastidite, in massa scoraggiano i seccatori e si sentono più sicure.
 La legge non vieta il due pezzi in Algeria, ma i conservatori lo considerano ancora un affronto al pudore. La «rivolta del bikini» è iniziata alla fine del Ramadan e del digiuno, pochi giorni dopo la festa di Eid Al-Fitr, quando nella località di Annaba una ragazza di 27 anni è andata in spiaggia con la famiglia, ma non ha osato spogliarsi.
In rete circolavano già commenti malevoli verso le bagnanti troppo svestite: «Sgualdrine, dove sono i vostri padri?». La ragazza ha creato allora un gruppo privato su Facebook, con inviti mirati ad amiche e conoscenti per ritrovarsi il 5 luglio in una località più defilata, Seraidi, a una dozzina di chilometri dal centro di Annaba, dove concedersi indisturbate un no' di elioterapia.
 All'appuntamento si sono presentate in quaranta, ma tre giorni dopo, quando è stato deciso il bis, è arrivato un battaglione di duecento ragazze.
La controffensiva non si è fatta attendere: «Pubblicate le loro foto», esortavano gli internauti scandalizzati, nella speranza di allestire una gogna virtuale. «Nessun intento provocatorio da parte nostra si è difesa, anonimamente, l'organizzatrice del «rave» del due pezzi, intervistata da Lilla Mechakra, cronista del quotidiano locale Provincial -, noi vogliamo soltanto far cambiare gradualmente la società. (...) Non vogliamo cambiare i loro punti di vista, ma inculcare loro semplicemente la tolleranza perché ogni donna si senta libera di indossare quello che vuole».

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