martedì 19 maggio 2015

Lo spettacolo della falsa integrazione

Hijab, donne, velo, islam

Uno sceneggiato, su Rai Uno. C'è Jamal, accusato ingiustamente di omicidio. È un immigrato, tutti pensano che lui sia il colpevole, ma è un bravo ragazzo. Insomma, basta con l'uguaglianza immigrato/criminale. Poi c'è la famiglia di Jamal. Una famiglia islamica, ma di mussulmano lo spettatore vede solo alcuni, pochi elementi. Ad esempio lo hijab, il velo islamico, che indossa la donna. Capiamo da lì che è mussulmana.
C'è solo questo elemento, buttato nella storia in modo acritico, in ossequio al pensiero unico dominante per cui gli immigrati sono brava gente in fuga da fame-guerre-carestie.

Lo hijab è, quindi,  dato come un oggetto di abbigliamento normale e accolto nella società occidentale. Normale, senza chiedersi se la donna lo viva o no come una imposizione. Normale che la donna lo debba indossare, insieme col tradizionale abito lungo, anche al mare, perché gli uomini, loro sì, possono restare in costume, ma la donna no, lei non può scoprire un centimetro di pelle. Normale veder la donna così anche dentro casa, perché tanto è un velo e chissà cosa vuoi che sia, un velo. 

Normale. Normale come accettare che la donna sia "una rosa delicata" (cito da un sito islamico italiano) da proteggere, madre di famiglia, moglie fedele. Alla faccia di decenni di lotte e conquiste femministe.  Alla faccia della rivoluzione francese, della dichiarazione dei diritti umani,  della Costituzione italiana. Tanto è solo un velo, mica è il burqa, e poi anche le suore ce l'hanno, no?

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